E’ il 26 luglio 2017.
Io e Giuliano siamo al primo incontro conoscitivo del centro che da allora ci sostiene nel nostro percorso.
Prima di questo, lunghi mesi difficili, culminati in tre incontri con una neuropsichiatra e una diagnosi di disturbo dello spettro autistico per Olmo.
< Questi sono i servizi che offriamo. Questa la filosofia in cui crediamo e l’impostazione del nostro lavoro. E voi, cosa vi aspettate? >
Sgomento.
Io e Giuliano ci guardiamo, la sensazione di star partecipando a un quiz a premi, l’ansia di dare una risposta scontata, poi, improvvisamente e all’unisono: < Che Olmo sia felice >.
Laura sorride e ci accoglie.
Da quel giorno Olmo è cresciuto, cambiato, ha imparato molte cose.
Ad oggi è seguito da un team di 10 persone che condividono con lui momenti diversi della giornata.
In due anni abbiamo scelto con attenzione le attività da proporgli e non ci siamo mai scordati di quella risposta all’unisono che per noi è sempre rimasta una base sicura nella quale trovare la risposta per affrontare i momenti più difficili.
Solo scrivendo queste righe mi sono accorta che abbiamo sempre tenuto fede a quella frase, a quell’incontro.
Ciò che ci muove non è solo che Olmo migliori, non è solo che Olmo diventi un adulto autonomo, non è solo poter trasmettere a nostro figlio i valori in cui crediamo da sempre, ma è soprattutto “che Olmo sia felice”.

Ma non basta.
E’ il 5 novembre 2018.
Su consiglio del genetista che ha ci ha preso in carico, facciamo un controllo cardiaco a Olmo.
Inizialmente penso a una sciocchezza. Cerco di ripetermi le parole della dottoressa mentre le dice perché capisco rapidamente che non sta minimizzando.
Ascolto, cerco di calmare Olmo, sorrido, mi faccio trovare preparata, sostengo lo sguardo.
E’ il 6 dicembre 2018.
Dopo 5 lunghissime ore ci permettono di entrare in terapia intensiva.
Olmo dorme, non sembra soffrire, ma lo sguardo perso di un bambino così piccolo incapace di comprendere i motivi per i quali si trova in un letto di terapia intensiva è indelebile nella mente di un genitore.
E’ andata.
Ma noi sappiamo che il bello inizia adesso.
Far accettare a un bambino affetto da disturbo dello spettro autistico il dolore fisico, la costrizione a letto, la perdita di tutti i punti di riferimento, è quasi impossibile.
E noi lo sappiamo.
Iniziano giorni di sconforto, anche per noi.
Come non pensare alle cose che possono fargli piacere?
Così, usando l’immaginazione, posso vederlo. Lì, che lo coccola nel suo lettino e lo insegue nelle mattine di primavera al parco. Un cucciolo!
L’ostacolo principale è che io sono allergica ai cani, ma mi viene in soccorso un’amica di mia mamma che mi confida di aver visitato il sito di un allevamento di cani da pet therapy adatti alle persone con allergia che si trova a Barcellona.
Mi informo. Scopro che per i bambini affetti da autismo un cane da pet therapy può davvero essere un supporto importante nell’accrescimento delle capacità relazionali.
Inizio a ricordare tutte quelle volte in cui ho visto Olmo entusiasmarsi davanti ad un cagnolino: li avvicina, cerca il loro sguardo, prova a studiarli da tante prospettive differenti, corre e si fa rincorrere e infine, solo quando ne ha conquistato la fiducia, li accarezza.
Quindi, decidiamo di partire!

Appena rientrati dall’ospedale approfitto di un regalo di mio papà e mi faccio acquistare due biglietti per Barcellona.
Qualche incertezza, un po’ di ansia a lasciare alla nonna il piccolo Olmo (più per la nonna a dire il vero) ma in fondo anche tanta voglia di capire se questa folle idea è realizzabile.
In pochi minuti l’allevatore mi appoggia in braccio una cagnolina di taglia media color albicocca e mi dice < Ecco. Ora lei è con te. >
Lei è stata con me, nel senso più vero della parola. Ci siamo coccolate e guadate negli occhi a lungo. Una tenerezza infinita ma, soprattutto, nemmeno uno starnuto!
La magia però viene spenta bruscamente nel momento in cui riceviamo il preventivo.
La storia si ripete:
Sgomento.
Io e Giuliano ci guardiamo, vediamo sfumare davanti a noi le agognate coccole pelose sul divano, pensiamo che in fondo possiamo comunque approfittare del week-end per mangiare due tapas in santa pace, poi all’unisono: < Ce la faremo >.